Nella Palermo degli anni ’80, quando la mafia gettava la sua ombra oscura su diversi settori, due donne coraggiose, Maria Rosa e Savina Pilliu, si trovarono ad affrontare una dura battaglia contro l’illegalità dilagante. La loro storia, narrata in “Io Posso. Due Donne Sole contro la Mafia” da Pif e Marco Lillo, rivela un’odissea di resistenza contro le minacce, le intimidazioni e l’ingiustizia perpetrata da costruttori legati alla mafia.
di Francesco Catania
Il giornalista d’inchiesta Marco Lillo, insieme a PIF, ha esposto questa ingiustizia attraverso programmi televisivi come “Le Iene” e i suoi programmi d’autore. La loro collaborazione ha portato alla scrittura del libro “Io posso,” i cui proventi sono devoluti alla causa delle sorelle Pilliu e alla loro lotta.
La storia
La vicenda ha avuto inizio di fronte al Parco della Favorita di Palermo, dove le due donne, proprietarie di immobili in Piazza Leoni, hanno subito l’encroachment da parte del costruttore dei lotti adiacenti. La concessione edilizia è stata ottenuta attraverso falsificazioni, incorporando le proprietà delle sorelle senza il loro consenso. I confini e le distanze di proprietà sono stati ignorati, poiché il costruttore, successivamente condannato per mafia, ha rappresentato informazioni false sia in banca che all’ufficio tecnico.
Le due sorelle furono prese di mira dai costruttori che rispondevano ai clan mafiosi o godevano della loro protezione. Pietro Lo Sicco, uomo sotto l’ala del boss Stefano Bontate, tentò di acquistare il terreno su cui sorgevano le loro abitazioni, ma le Pilliu resistettero con fermezza a ogni “proposta” avanzata.
La loro resistenza scatenò una serie di minacce e atti violenti, tra cui bidoni di calce, corone di fiori e una bombola di gas inviati per intimidire le sorelle. Nonostante le crescenti pressioni e i danni subiti dalle loro case, demolite senza pietà, le Pilliu si rifiutarono di cedere e vendere la propria dignità.
Le sorelle Pilliu si sono trovate coinvolte in una battaglia più grande di loro, in cui la mafia le perseguitava e lo Stato non riconosceva la loro condizione di vittime. Nonostante la vittoria in una causa civile contro il costruttore criminale, non hanno potuto riscuotere i danni economici a causa del sequestro del patrimonio del mafioso da parte dello Stato. La burocrazia ha aggravato la situazione, con uno dei rami dello Stato che richiedeva tasse sulla plusvalenza dei soldi assegnati dalle sentenze mai riscosse.
Nel 1992, le sorelle Pilliu raccontarono la loro storia al giudice Paolo Borsellino, che le incontrò quattro volte prima della tragica strage di via D’Amelio. Nonostante l’impegno di Borsellino, la strada per la giustizia fu lunga e frustrante. Pietro Lo Sicco, corrompendo le figure chiave nell’apparato giudiziario, si autoproclamò proprietario del terreno, iniziando la costruzione senza curarsi di regolamenti o concessioni irregolari.
La beffa finale arrivò sotto forma di una richiesta dell’Agenzia delle Entrate, che chiese alle sorelle Pilliu di pagare 22.842 euro di tasse sul 3% della somma che non avevano mai ricevuto. Uno stallo giuridico impedì loro di ottenere lo status di vittime di mafia, complicando ulteriormente la loro situazione.
Una giustizia ingiusta
La vicenda assume tratti ancora più grotteschi quando arriva la decisione del giudice Andrea Illuminati, che nel 2019 negherà alle sorelle lo status di vittime di mafia.
Tale verdetto, supportato dal ministero dell’Interno nel 2019, è stato oggetto di discussione costante nei recenti anni.
Le sorelle Pilliu si trovarono a fronteggiare le prepotenze del costruttore Pietro Lo Sicco, legato a Cosa Nostra. Lo Sicco, dichiarandosi proprietario delle proprietà della famiglia Pilliu, aveva eretto un palazzo di fronte al Parco della Favorita, causando danni significativi alle abitazioni delle sorelle. Nonostante le numerose vittorie in tribunale e le condanne di Lo Sicco per falso, corruzione e associazione mafiosa, la situazione si è complicata quando la società del costruttore è stata confiscata dallo Stato.
L’Agenzia dei beni confiscati ha rifiutato il pagamento, e il ministero dell’Interno ha respinto la richiesta delle sorelle di essere riconosciute come vittime del sistema mafioso. Nel 2020, l’Agenzia delle Entrate ha addirittura chiesto alle sorelle il 3% del risarcimento mai incassato, in conformità a una legge che impone l’imposta di registro anche in assenza di incasso effettivo.
La recente pronuncia del Tribunale di Palermo ha sollevato ulteriori complicazioni. Il giudice stabilì che mancava il nesso causale tra i danni subiti dalle sorelle e il reato di associazione mafiosa di Lo Sicco. In parole semplici, il risarcimento ottenuto dalla sentenza della Corte d’Appello nel 2018 è correlato unicamente ai danni causati dalle operazioni della società del costruttore, non al reato penale. Questo ha portato alla decisione finale di far pagare a Savina Pilliu, rimasta sola dopo la morte della sorella, le spese legali, ammontanti a circa 10mila euro.
La vicenda delle sorelle Pilliu, intrisa di ingiustizia e burocrazia distorta, continua a manifestarsi come una beffa senza fine. La storia, resa pubblica attraverso il libro “Io posso,” cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica e raccogliere fondi per aiutare Savina a fronteggiare le spese legali e, forse, a ristrutturare le due abitazioni danneggiate. Il progetto è quello di costruire un centro che accoglierà artigiani in difficoltà lavorative o vessati dal pizzo. Sarebbe davvero un bel modo per metter finalmente un punto a questa assurda vicenda tutta italiana. Chi crede che la mafia sia stata sconfitta sbaglia di grosso, perché ha solo cambiato volto e interessi economici con la sua occulta presenza negli appalti di Stato, nell’edilizia, e in tutti quegli ambiti dove girano ingenti flussi di denaro pubblico.